#lettidavoi: Willy. Una storia di ragazzi
Può essere un atto violento il metro di misura dei valori culturali di un dato contesto sociale? Quale filo deve seguire un
ricercatore per scoprire il nesso esistente fra un gesto deviato e le sue cause? Un’accurata indagine accompagna il lettore
dentro uno dei crimini più mediatizzati degli ultimi anni, con l’obiettivo di risalire alle sue radici: il frutto del lavoro
è “Willy. Una storia di ragazzi. Il delitto di Colleferro: inchiesta su un massacro” di Christian Raimo con Alessandro Coltré
(Rizzoli, 270 pagine, 19 euro).
La meticolosità degli autori, che hanno fatto ricorso a interviste ai testimoni e a trascrizioni degli interrogatori, garantisce
che nel libro si evitino facili conclusioni circa il senso di un gesto che apparentemente ne è privo. L’omicidio di Willy
Monteiro Duarte lascia increduli per quello che è stato: un veloce e gratuito pestaggio in una qualsiasi serata di movida da parte
di tre bulli di provincia dediti alla pratica dell’MMA ai danni di un ragazzo smilzo, sorridente e animato da un’enorme gioia di vivere.
Sottolineano gli autori: «È una sproporzione evidente, che colpisce tutti, ma anche, paradossalmente, un elemento che produce una
facile univocità e autoconclusività».
La narrazione scorre chiara, appassionante, ma nella seconda parte si nota una certa difficoltà nel tenere centrata l’argomentazione.
Alcuni passaggi nella ricostruzione, poi, tendono purtroppo dei tranelli definibili di coerenza narrativa. Il giovane Sindaco Sanna,
considerato dagli autori testimone privilegiato perché «figlio di pastori sardi», dà la sua opinione sui fatti, e parlando di faida
afferma: «quegli scontri avevano ragion d’essere». Si cade in pieno nel pantano di quella «autoconclusività» così temuta. Il sindaco,
in due battute, confronta il tragico evento di Colleferro con le faide sarde, tingendole di un misticismo ricco di «simbolismo arcaico»
(«è onesto con noi», riportano gli autori con un certo atteggiamento paternalistico), considerazione che si può condividere giusto
a una prima analisi: inevitabile che si finisca dentro quei limiti evocati e fin lì accuratamente evitati.
Da quel passaggio in poi il racconto scorre con l’elastico legato a una gratuita leggerezza che investe luoghi, vicende, persone.
Persone a volte in violento contrasto fra di loro, che si chiudono, parlano poco o per nulla, come la collega di Willy, che non ha mai
concesso la sua intervista, «abbracciata da un dolore muto», un dolore senza più risposte, inspiegabile perché incomprensibile.